Il sogno di ogni bartender è quello di visitare il Giappone, non solo culla di una cultura di miscelazione avanzata e ispiratrice ma anche di tutti quei prodotti che donano a questo lavoro un'eleganza insuperabile.
Per noi dell'RG non ci sono confini quando si tratta di scoprire nuovi aspetti del bartending, per questo siamo volati dall'altra parte del mondo a capire quali siano le nuove tendenze, a stabilire contatti e ad aprirci nuove strade per garantire un valore aggiunto al nostro e al vostro lavoro.
Se volete scoprire passo passo il nostro viaggio tra la fiera HCJ di Tokyo Big Sight, Kappabashi, Yukiwa, Naranja, Bar Times Store, Sokichi e i templi della miscelazione giapponese, allora leggete il resoconto dettagliato di seguito.
Avete presente quando state per partire per un lungo viaggio che vi porterà dall’altra parte del mondo e appena prima di caricare le valigie in macchina vi rendete conto che nel giro di una settimana tornerete avendo acquisito conoscenze nuove, arricchiti dall’incontro con realtà lontane? Ecco, il nostro viaggio è iniziato con questa consapevolezza, la sensazione che Tokyo avrebbe lasciato il segno.
Scombussolati dalle lunghe ore di aereo, condite da pasti che ti fanno rimpiangere casa e poltrone non proprio pensate per dormite confortevoli, arriviamo in hotel domenica notte.
Lunedì mattina ci alziamo di buon’ora, consumiamo il nostro tè (il primo di una lunga serie) al buffet della colazione ma non ce la sentiamo di bere zuppa, magiare riso e noodles e soprattutto crocchette fritte quindi ci limitiamo a quel poco di continentale che la cultura giapponese offre, preparandoci ad affrontare la nostra prima giornata.
Abbiamo una destinazione: Kappabashi, giusto a 5 minuti a piedi dalla fermata di Kawaramachi. Anche nota agli occidentali come Kitchen Town, è una lunga via costellata di negozi specializzati in ogni genere di fornitura per ristoranti e bar.
Ci rendiamo subito conto che il businness del cibo finto va alla grande, non solo perché moltissimi negozi vendono questi oggetti ma anche e soprattutto perché non c’è ristorante che non esponga nella vetrina esterna i suoi piatti riprodotti. Decine i negozi di padelle, ma si trovano anche teiere in ghisa e ceramica colorata, bacchette di ogni tipo, tutto il necessario per i caffè filtrati, sedie, vetrinette, piatti e bicchieri d’importazione, coltelli (non quanti ci si aspetterebbe), oggetti in rame e l'impensabile per le mise en table tipiche dell’estremo oriente: piccoli piattini colorati e ciotoline per salsa di soia e zuppe. In mezzo a tutto questo si trova anche ciò che non ci si aspetterebbe, come liquori d’importazione, sottobicchieri e… bar tools.
La premessa è che anche nei bar più datati in cui di cocktail non si è mai sentito parlare, si trova comunque un bar spoon, un cobbler shaker e altri piccoli oggetti, utilizzati per chissà quali scopi.
Non aspettatevi però di trovare negozi che brulicano di bar tools di ogni tipo, facendo invidia ai più accaniti collezionisti, perché rimarreste delusi. Gli oggetti più diffusi sono a marchio Yukiwa, con minoranze di altre aziende e piccoli oggettini quali stirrer e ice pick di incomprensibile provenienza. A farla da padrone sono le misure più disparate di shaker, rigorosamente cobbler, i jigger ma soprattutto i bar spoon. Shaker anticati, satinati, scuri, di tutte le misure (anche il 160 ml, bellissimo), jigger dalle linee definite e fluide, peccato per i bar spoon, quasi tutti con forchetta. Gli ice pick presenti sono rintracciabili anche sul nostro territorio, ma i cocktail pick sono davvero unici, dalle innumerevoli varietà, così come gli stirrer in acciaio e dorati. Pochi mixing glass a Kappabashi ma alcune dash bottle interessanti. E poi grattuggine, strainer, imbutini, e tanti oggetti che i nostri barman avrebbero apprezzato se solo si fossero raccapezzati nel disordine di quei negozi, a metà fra commercio al dettaglio e all’ingrosso. Moltissimi comprano, altri curiosano fra gli scaffali polverosi in cui si può davvero trovare di tutto, agli stessi prezzi che si troverebbero in Italia. Il trucco sta nel non arrendersi ma nell’entrare dappertutto, confrontando gli articoli e trovando quell’oggetto particolare che ancora nessuno ha visto.
Dopo aver trascorso buona parte della mattinata qui, decidiamo che è il momento di spostarci per raggiungere un’altra destinazione sulla nostra mappa del tesoro: il Bar Time Store. A 2 minuti a piedi dalla fermata di Iidabashi, questo piccolo negozio, anzi questa stanza, è un vero paradiso del bartending: decine di prodotti su scaffali di vetro che li fanno apparire come trofei. Ci sono oggetti meravigliosi, di cui ¾ firmati Yukiwa (l’avreste mai detto?!), come gli ice pick completamente in acciaio, ma ciò che attira la nostra attenzione più che ogni altra cosa è il ripiano dei mixing glass: almeno una ventina di tagli di diverso tipo, per tutti i gusti, per appagare l’ego di qualsivoglia barista. La cosa più deludente è però il prezzo esorbitante di ogni prodotto: cari amici, se pensate che il Giappone sia il Paradiso del bartending low cost vi sbagliate!
Per essere solo il primo giorno, di cose ne abbiamo capite, ma di certo non immaginiamo quante ancora devono accaderci…
E arriviamo così al martedì (siamo solo a martedì?!) ed entriamo in fiera, cercando di mimetizzarci quanto più possibile con i giappo che si ordinano in file compostissime. Il nostro badge è marchiato con l’adesivo overseas e ce lo portiamo al collo come tutti in modo che gli espositori sappiano di cosa ci occupiamo. A differenza di ogni altra fiera italiana, nella HCJ che ha sede al Tokyo Big Sight, ti offrono i loro cataloghi e grandi sorrisi senza chiedere nulla. I più audaci provano ad avvicinarci nonostante la difficoltà di lingua, mentre molti non ci provavano nemmeno ma il motivo è più che comprensibile.
In generale, ecco cosa abbiamo capito. Tutto ciò che riguarda la mise en table, quindi piatti, bicchieri e la gestione della parte della sala, è d’importazione europea;(abbiamo infatti trovato diverse aziende che noi stessi trattiamo), mentre la tecnologia è di stampo giapponese, e spesso offre spunti interessanti. Ed è stato così, girando su e giù per i padiglioni della fiera che vediamo lo stand per cui abbiamo attraversato tutto un continente: Yukiwa. Non potete immaginare il nostro entusiasmo nel vederli esporre, ma anche la delusione nel saperli unici conoscitori della loro lingua d’origine. Se pensate che ci siamo dati per vinti rimarrete delusi, ma per sapere come va a finire questa storia, dovrete aspettare la cronaca di giovedì.
Dopo una sfiancante giornata in fiera, facciamo ritorno all’hotel per il minimo del riposo, prima di ripartire alla volta dell’High Five Bar, il locale di mr. Hidetsugu Ueno, nel quartiere di Ginza. Dovete sapere che bar e ristoranti a Tokyo sono spesso nei piani sopraelevati dei palazzi quindi trovarli non è così semplice se non potete tradurre le scritte luminose in giapponese disposte lungo i grattacieli. Per fortuna mr. Ueno ha una clientela internazionale e il suo locale è ben dichiarato anche col suo nome inglese.
Poche cose, ma molto semplici da spiegare su uno dei 50 best bar in the world. Si tratta di una stanza che ospita a sedere non più di 30 persone fra il banco e i tavolini. Sul banco ci sono 2 postazioni: una per la barlady seriosa di fronte a noi e una per mr. Ueno. Non esiste lista quindi dovete semplicemente far sapere quali sono i vostri gusti per poter essere serviti. Chi fa i cocktail non tocca nulla, nè bottiglie nè altro, quindi gli aiutanti si occupano di posizionare sul banco il necessario, di accogliere gli ospiti, di spiegare gli ingredienti del drink, di servire i side, di rabboccare l’acqua e offrire le salviette calde all’arrivo dei clienti: la gerarchia è molto precisa. Un tappetino per postazione, su cui vengono appoggiati un mixing glass e un cobbler shaker, in più sono a disposizione un bar spoon, uno strainer e tanti jigger quanti sono i cocktail da fare. E’ tutto lindo e pulito: se cade una goccia, viene prontamente raccolta e dopo l’uso si lava e risciacqua tutto alla perfezione. Le coppette sono di rara eleganza, ma senza ghirigori e molto semplici. Il lavoro è preciso e pulito e niente viene lasciato al caso, come gli stessi cubetti di ghiaccio da utilizzare per i cocktail: sono scelti uno a uno per incastrarsi e se non lo fanno, vengono riposti nell'ice bucket per sceglierne altri, in modo che possano combaciare perfettamente negli shaker e nei mixing glass. La bottigliera è imponente ma anche incredibilmente ordinata. Sono tutti molto gentili ma come da carattere tipico dei giapponesi, anche chiusi. Il ragazzo che si occupa di noi ci chiede cosa facciamo a Tokyo, quindi ci presentiamo e in meno di 2 minuti ci raccomanda un negozio che dobbiamo assolutamente visitare e del quale non sapevamo nemmeno dell’esistenza. Alla fine della serata mr. Ueno ci saluta donandoci l mappa precisa di dove trovare quello stesso negozio e anche lo Star Bar, nostra prossima meta, dove lui stesso è cresciuto professionalmente per ben 9 anni.
Grande la metà dell’High Five, lo stile di questo locale sembra essere rimasto a un’epoca classica ormai disconosciuta. Purtroppo non c’è spazio al bancone, il nostro posto preferito, e così dopo una consumazione veloce decidiamo di andar via, perché la fame si fa sentire. Ciò che colpisce maggiormente nel frequentare i bar giapponesi è la quiete che si vive: le persone vengono in questi luoghi dopo il lavoro per rilassarsi, guardar lavorare i barman e godersi nella pace più assoluta i loro drink. Che modo straordinario di dar valore a questo lavoro!
Mercoledì porta con sé un nuovo inizio. La prima tappa è Naranja, uno dei negozi più conosciuti da chi cerca bar tools giapponesi. Ebbene, ecco tutta la verità. Scesi alla stazione di Shimo-Itabashi, non abbiamo idea di dove andare perché la mappa è tutt’altro che chiara, quindi entriamo nel primo bar, il Colorado Cafè, dove una gentilissima signora ci fa segno di seguirla perché ci avrebbe condotti direttamente sul posto. Non siamo chiaramente abituati a tanta cortesia, per questo la ringraziamo calorosamente prima di entrare nello store. Naranja è un piccolo negozio che vende bar tools, palloncini e l’occorrente per feste di compleanno.
Noi ci dedichiamo a ciò che ci interessa ma purtroppo non vediamo nulla di nuovo rispetto a ciò che abbiamo già visto: molto Yukiwa e qualcosa da altre ditte. Ovviamente siamo un po’ delusi dal fatto che quello sia un posto tanto conosciuto, che effettua spedizioni in tutto il mondo, ma del resto vederlo coi propri occhi, dà la percezione di come siano realmente le cose. Ovviamente portiamo via qualcosa anche da lì e nel tornare alla stazione ci fermiamo al Colorando Cafè, dalla squisita signora che ci serve caffè filtrato con la solita welcome water e un grazioso sorriso, in un posto antico e accogliente che rimarrà fra quelli che non dimenticheremo mai.
La giornata è appena cominciata, quindi ripartiamo in direzione Sokichi, il negozio che mr. Ueno ci ha indicato. Raggiungerlo all’uscita di Asakusa è molto semplice grazie alla sua mappa dettagliata.
Dobbiamo ammettere che questa è stata per noi la sorpresa migliore. Piccolo, ma proprio piccolo, e stipato di oggetti da bar in ogni angolo. Bicchieri perlopiù, molati dal titolare stesso. Ovviamente non ce l’ha detto lui in giapponese ma lo abbiamo capito da soli grazie alla molatrice in vetrina che era stata chiaramente usata da poco. Le coppette sono di rara bellezza, intarsiate o semplicemente stirate, dalle forme più strane, riflettenti l’una nel vetro dell’altra. Qui riusciamo a trovare qualcosa di nuovo e interessante ma, ahinoi, le cose più belle sono difficili da portare via.
Usciti da quel piccolo tempio del bartending, ci dirigiamo a piedi verso il tempio vero di Tokyo, il più antico e suggestivo: il Senso-ji. La sacralità e il rispetto sono due componenti fondamentali della vita di questo popolo che lo dimostra apertamente non solo in preghiera ma nel proprio vivere quotidiano.
Questi piccoli intermezzi sono utili per farci sentire un po’ meno stacanovisti e farci godere il bello di questa città che fra i mille grattacieli cela meraviglie.
Dopo pranzo facciamo un altro salto a Kappabashi, perché c’è ancora qualcosa che ci interessa, e poi dopo aver confrontato tanti prezzi sappiamo ormai muoverci con una certa scioltezza.
La serata si conclude con un’altra visita a mr. Ueno per potersi godere un altro dei suoi drink prima di tornare in hotel per una sana e rigenerante dormita.
Il giovedì abbiamo un nuovo obiettivo: tornare in fiera. Yukiwa è lì e il nostro obiettivo è parlare con loro. Come dice Giorgio entrando, la perseveranza e un po’ di fortuna ci hanno aiutati ma siamo stati felici che sia andata così. Di fronte al loro stand, si trova infatti l’esposizione di una ditta giapponese che rivende diversi marchi, fra cui una ditta spagnola che noi dell’RG abbiamo scoperto ormai 9 anni fa e con cui trattiamo tutt’ora. A rappresentarla, troviamo il simpatico Andy, spagnolo cresciuto a Roma che vive in Giappone da ormai 28 anni, che ci aiuta a capire che il traduttore di Yukiwa è in arrivo e loro sarebbero felici che lo aspettassimo. Detto fatto: dopo una bella chiacchierata d'affari, c’è il tempo per un caffè filtrato e l’assaggio del sasadongo, un frutto tropicale racchiuso in foglia, formato da un buccia verde molle e commestibile e un interno violaceo con semi davvero delizioso. Sembra quindi che la mattinata abbia portato i suoi frutti.
Soddisfatti e appagati, ci godiamo la restante giornata fra Shibuya, il Tokyu Plaza e Shinjuku, dove ceniamo rilassati, godendoci la nostra ultima vera serata.
Il venerdì è una fonte di novità, un giorno non programmato se non nella cena con un gentile fornitore che ci ha invitato.
Così, dopo l’ennesimo ritorno a Kappabashi, ebbene sì, e un salto al bar The Bridge, costruito dentro a uno studio d’architettura, possiamo goderci il resto della giornata. Le nostre mire cadono sull’Ueno Park e l’Ueno Zoo, infine sullo Yoyogi Park e il suo tempio.
Salto veloce a recuperare le valigie, prima di raggiungere a Ginza il nostro amico Tetsuya dell’azienda Birdy, produttrice della collezione di bar tools firmata da Erik Lorincz, che ha gentilmente prenotato un ristorante in cui gustare dell’ottimo e aggiungerei indimenticabile sushi e del tipico sake.
Il pesce è delizioso e avere qualcuno che sa esattamente cosa ordinare dandoti consigli su come gustare al meglio ogni assaggio è davvero un sollievo. Le chiacchiere si susseguono in un bel clima disteso, incorniciato da una location che merita l’intero viaggio. Dopo la cena squisita, Tetsuya suggerisce di fare un salto al Tender Bar di mr. Kazuo Uyeda, il maestro dell’hard shake.
Lo stile è classico, quasi il tempo si fosse fermato e la sensazione è molto piacevole: il mio Crystal Coral è ottimo, mr. Uyeda è cortese e il suo hard shake magnetico. Dopo averci dato il suo biglietto personale e averci fatto una dedica personalizzata sul suo libro, salutiamo e ringraziamo prima di andarcene accompagnati fino alla stazione dal nostro amico Tetsuya, consci che le esperienze che abbiamo vissuto qui non sono per tutti.
E’ vero, il nostro è stato un viaggio di lavoro, ma una permanenza in un Paese tanto distante segna da ogni punto di vista. Le salviette umide, l’estrema pulizia, la cortesia, la precisione, il riso, il tè verde, il rispetto e i sorrisi di chi ti vede in difficoltà e porta la tua valigia fuori dalla stazione e fino al tuo hotel perché capisce che non sai dove ti trovi sono cose che lasciano un segno indelebile.
Per voi barman invece che vedete il Giappone come la patria dei bar tools, ricredetevi: qui ce ne sono tanti, esattamente come da noi. Cambia il modo di lavorare e di vivere, che è quello che fa davvero la differenza.
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