I dieci numeri hanno come fonte unica dei dati il registro delle imprese, un vero patrimonio informativo, tenuto dalle CCIAA italiane che contiene informazioni sulle 6milioni di imprese attualmente registrate sul nostro territorio. La natura dell’informazione è pertanto censuaria, riguarda tutti i soggetti economici appartenenti alle due divisioni di attività nelle quali vengono classificati, dal 2009, rispettivamente gli alloggi e i servizi di ristorazione. Sul piano dell’analisi nel corso del 2008 vi è stata l’adozione dell’Ateco2007 la nuova classificazione delle attività economiche che costringe per affrontare un’analisi omogenea, di concentrare l’attenzione solo sul biennio 2009-2011 A settembre del 2011 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultavano registrate 393.000 imprese appartenenti al fuori casa. Rappresenta il quinto settore dopo commercio, costruzioni, agricoltura e manifattura. E’ la Lombardia, considerando i valori assoluti, la prima regione per presenza di imprese del settore (14%) seguita da Lazio (11%) e Campania (9%). Ed è la capitale la città dove è concentrato il più alto numero di ristoranti (10.000) e di bar (8.500) Questo dato già spiega che la diffusione delle imprese dipende più da variabili fisiche (principalmente la popolazione residente) che da variabili monetarie (reddito, consumi, propensione al consumo, ecc.). Ciò non significa, tuttavia, che all’insediamento delle imprese non influiscano ed abbiano influito congiuntamente sia variabili di carattere fisico che variabili di carattere economico. All’interno della filiera, la stragrande maggioranza delle imprese si colloca nel sub-settore della ristorazione: 9 imprese su 10 appartengono a questa categoria nonostante esistano realtà come Bolzano dove c’è un albergo ogni 122 abitanti, a fronte di una densità di alberghi per abitante (alberghi per numero di abitanti) 10 volte inferiore nella media del Paese. Nonostante il contesto caratterizzato da una congiuntura ancora incerta e dal persistere di rilevanti criticità strutturali del sistema Paese, nell'ultimo anno il canale del fuori casa ha messo in evidenza un marcato dinamismo di impresa: nei dodici mesi che vanno da settembre 2010 a settembre del 2011 si è registrata una crescita naturale del 2,9%, superiore all’incremento realizzato dal totale delle imprese (nel complesso il numero totale delle imprese è aumentato solo dello 0,3%) Solo quattro province hanno visto nell’ultimo anno diminuire il numero delle imprese del canale ovvero Belluno, Isernia, Trento e Savona. Il capoluogo trentino è anche quella che si posiziona in fondo alla classifica per quanto riguarda la variazione percentuale mentre è Monza quella che, nell’ultimo anno, presenta la variazione più alta. Milano, Roma e Torino sono le tre realtà che in termini assoluti hanno fatto registrate le performance migliori sia per il fuori casa a livello globale che i servizi di ristorazione. In relazione alle specifiche categorie della filiera, ai ristoranti è riconducibile quasi i due terzi dell’aumento complessivo del settore. L’andamento espansivo osservato è comprovato anche dal numero delle aperture effettuate nel corso del 2010: 55 imprese ogni giorno, sabato e domenica incluse, ad un ritmo di quasi una l’ora segno che é presente ancora la voglia di mettersi in gioco pur in una fase di recessione. Il prossimo numero riguarda la tipologia di impresa per forma giuridica, tema che si collega con quello che riguarda la dimensione media e soprattutto con l’idea che forme giuridiche complesse favoriscano l’accumulazione di capitale, la qualificazione della domanda di lavoro, gli investimenti, in una parola il tema riguarda le determinanti della crescita nel medio e lungo termine. Il 44% delle imprese registrate nel settore ha carattere di impresa individuale: l’incidenza è più alta nei bar dove 1 soggetto su 2 adotta questa forma e meno numerosa negli alloggi dove in genere si preferisce una forma societaria più complessa in 2 casi su 3. C’è da dire che negli ultimi anni le ditte individuali hanno iniziato a perdere peso e il canale del fuori casa si sta muovendo, anche se molto più lentamente di quanto facciano altri settori economici e nel complesso l’insieme delle imprese, verso strutture societarie più complesse. Società di capitale che sono più numerose tra alloggi e ristoranti perché si tratta di attività più articolate che di solito richiedono capitali maggiori rispetto a quanti ne siano necessari per aprire un bar. Il nord e soprattutto il centro privilegiano forme adeguate alla complessità dei tempi: 1 società di capitali su 3 si trova al Centro Italia mentre nel Sud e nelle Isole, area legata ancora molto al titolare e alla famiglia, si concentra il 37% delle ditte individuali. L’esame dei dati di natimortalità imprenditoriale desunti dal Registro delle imprese restituisce però anche un’immagine dai colori molto meno vividi, che pone interrogativi sulla sostenibilità delle nuove iniziative d’impresa del comparto, che in un momento difficile come quello che stiamo vivendo evidenziano alcuni elementi di fragilità. Prendendo in esame le attività del fuori casa cessate nei primi nove mesi dell’anno in corso, troviamo che la loro età media è stata pari a poco più di 8 anni, a fronte di un’età media per il totale dell’economia di quasi 11 anni, ossia due anni in meno La metà di queste imprese non è riuscita a festeggiare i cinque anni di vita e oltre 3 su 10 era stata aperta dopo il 2008. Dal punto di vista territoriale, le criticità maggiori sembrano caratterizzare le Marche dove le imprese cessate avevano un’età media di 7 anni. Questa elevata mortalità può essere spiegabile con le basse barriere all’entrata e all’investimento economico contenuto che possono attirare imprenditori alla prima esperienza meno preparati. Anche dal confronto di lungo periodo, volendo prescindere dagli eventi più strettamente congiunturali, il settore non esce al meglio per quel che riguarda la “longevità” delle imprese presenti, evidenziando un’età media per impresa (11,4 anni), inferiore sia al dato riferito al totale delle attività economiche, stimabile intorno ai 13 anni che rispetto ad altri settori quali trasporti, manifattura e commercio (nell’ordine i più longevi). L’età media negli alloggi appare significativamente superiore a quella dei bar e dei ristoranti, categoria che presenta il valore più basso dell’indicatore. Scendendo nel dettaglio territoriale è il Nord-Est l’area con le imprese del fuori casa al momento più longeve, con il Trentino Alto Adige a fare da capofila anche a livello nazionale mentre il Nord-Ovest si caratterizza come l’area dall’età media più bassa. Anche se a livello nazionale è la Puglia la regione più giovane, dove le attività sfiorano i dieci anni di età media. Ogni giorno in Italia quasi 31 aziende vengono dichiarate fallite: una di queste è un’impresa del fuori casa. I dati del terzo trimestre 2011 hanno mostrato un andamento sostanzialmente stabile rispetto allo stesso periodo del 2010. Si tratta di 109 casi, che arrivano a 436 tra gennaio e settembre e che se confrontati con i primi 9 mesi del 2010 mandano un segnale preoccupante: evidenziano una crescita del 20% e certificano che anche il comparto sta pagando l’onda lunga della crisi. Posto che il fenomeno in termini assoluti riguarda comunque un numero estremamente limitato è il Nord-Ovest l’area geografica più colpita anche analizzando il rapporto tra imprese entrate in fallimento e imprese registrate: con oltre 3 imprese fallite su 10.000 registrate, la circoscrizione formata da Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta precede il Nord-Est e il Centro. Ultimo è il Mezzogiorno dove l’incidenza delle imprese con una procedura fallimentare aperta sul totale delle imprese presenti sfiora le due realtà su 10.000, dato che si giustifica con la maggiore diffusione nel meridione di ditte individuali e con la minor frequenza di entrare in fallimento di questa natura giuridica. L’analisi dei dati sulla struttura produttiva evidenzia una realtà fondata su un diffusissimo reticolo di piccole e piccolissime imprese. Ebbene il “fuori casa” soffre, come peraltro in generale tutto il sistema paese, di un “nanismo” d’impresa visto che il numero di addetti per attività economica ammonta a 4 unità e che più di 8 imprese su 10 occupano un massimo di cinque addetti. Nel dettaglio, con poco più di 6 occupati per impresa negli alloggi e meno di 4 nella sezione “bar e ristoranti” fa si che la dimensione media delle imprese italiane del comparto è tra le più contenute nel panorama europeo, a fronte di un valore superiore a 5 per quanto riguarda la media dell’Unione europea e superiore a 4 nell’eurozona. La significativa presenza di imprese di piccola e micro dimensione è una peculiarità dell’imprenditoria femminile. Lo stretto legame esistente tra dimensione e impresa di genere è confermata anche nel comparto del fuori casa e permette di affermare che le imprese del settore siano essenzialmente “in mano alle donne”, con una presenza più massiccia che in altri campi (non esistono settori a prevalenza femminile). Il 32,4% delle imprese è rosa, percentuale in leggera crescita rispetto a due anni fa (+0,3%). L’analisi dei dati evidenzia come il Mezzogiorno sia l’area dove si concentra il maggior numero di imprese rosa del settore e dove il tasso di “femminilizzazione” è più alto: un’impresa su 3 del settore è guidata da una donna. Considerando l’ambito provinciale Frosinone, Rieti e Bolzano formano il podio delle province dove è più alta l’incidenza delle imprenditrici donna sul complesso delle imprese del fuori casa. Sebbene la ditta individuale sia ancora la forma giuridica preponderante tra le imprese femminili del settore, al momento di dare vita ad un’impresa anche le imprenditrici italiane fanno sempre più spesso scelte organizzative più mature. Negli ultimi due anni il peso delle società di capitali è aumentato di due punti percentuali passando dall’8 al 10%. Confrontando poi i dati di settembre 2011 con quelli del settembre 2009 si nota come negli ultimi due anni il settore del “fuori casa femminile” è quello che ha contribuito maggiormente (oltre 7500 unità su 40mila totali) in valori assoluti al saldo, positivo, del totale delle imprese femminili. La particolare vocazione delle donne verso il comparto trova giustificazione nella flessibilità che contraddistingue i tempi di lavoro (soprattutto per la ristorazione) del settore e che permette di conciliare gli impegni di cura all’interno della famiglia con il lavoro. Caffè espresso e cappuccino, pizza margherita e spaghetti alla carbonara. Italianissime specialità che, sempre più spesso, «parlano» straniero. La presenza di stranieri nel settore ed in particolare tra i servizi di ristorazione è in costante aumento, le imprese con titolare straniero crescono, crescono molto. Le imprese “straniere” in Italia al 30 settembre pesano poco più del 7% in linea con l’incidenza che le imprese straniere totali hanno sui 6 milioni di impresa attualmente presenti nel Registro. Si collocano come scelta dopo commercio e costruzioni. Lo sviluppo dell’imprenditoria tra i migranti è stato intenso nelle forme di impresa più semplice, ma è ancora limitato in quelle più strutturate, dove aumenta l’onere amministrativo e burocratico in capo all’imprenditore. A livello nazionale la percentuale di ditte individuali con uno straniero al timone sono il 10%. 10 anni fa erano meno della metà (4%) e nell’ultimo anno hanno fatto registrare una velocità di crescita 6 volte maggiore rispetto a quella delle ditte individuali del fuori casa nel complesso. Molti degli immigrati, quando decidono di avviare una società, lo fanno soprattutto per aprire dei ristoranti (oltre il 60%). Il canale bar rappresenta un format di più recente scoperta da parte degli imprenditori stranieri: è soltanto negli ultimi anni che gli stranieri, soprattutto cinesi, aprono bar nelle maggiori città del centro-nord a testimoniare che è oramai superata la barriera psicologica data dalla specificità (italiana) di questo format di esercizio. Sulle 3900 imprese con titolare cinese presenti in Italia al 30 settembre scorso 1700 erano ristoranti e 2000 bar, mentre 9 volte su 10 quando un egiziano, comunità di riferimento del settore per le imprese della capitale, decide di entrare nel comparto sceglie di farlo aprendo un ristorante. Nel corso del decennio è anche mutato profondamente il profilo degli imprenditori nati all’estero: erano soprattutto nostri vicini europei ieri, svizzeri e tedeschi, sono oggi legati a paesi non più del vecchio continente: 1 impresa su 4 è cinese e 1 su 10 egiziana. Tendono a insediarsi nelle aree in cui le condizioni economiche sono migliori e dove esistono nuclei già stanziati nel nostro territorio possono facilitare l’inserimento del migrante nella comunità economica locale: 1 impresa straniera su 2 ha sede nel Nord del paese. A Milano 1 ditta individuale su 3 ha un titolare non italiano a Napoli sola 1 su 50. Le statistiche su genere ed età degli imprenditori stranieri presenti in Italia nel fuori casa ci dicono che sono generalmente uomini appartenenti alla classe di età compresa tra i 35 e i 49 anni. Gli stranieri sono una risorsa per il settore così come lo sono le donne e dovrebbero diventarlo sempre di più i giovani. Al 30 settembre scorso erano oltre il 15% le imprese individuali con un titolare sotto i 35 anni rispetto al valore complessivo delle imprese del comparto. I giovani capitani d’impresa sono importanti per il fuori casa, ma anche il fuori casa è importante per gli “under 35” se si pensa che dopo le costruzioni è il settore dove sono più presenti e che, nella filiera, le imprese giovanili pesano quasi 4 punti percentuali in più rispetto al contributo che invece forniscono se sul totale. I giovani capitani d’impresa sono per lo più uomini, mentre dal punto di vista geografico è Roma la provincia che fa segnare il maggior numero di iniziative imprenditoriali giovanili, seguita da Napoli e Milano. Ma se invece guardiamo all’incidenza percentuale che le imprese giovanili hanno sul totale delle imprese di filiera allora il quadro cambia radicalmente: le prime 10 posizioni sono tutte occupate da province del Mezzogiorno con Enna, Crotone e Trapani nell’ordine ad occupare le prime tre posizioni. La componente dell’autoimpiego è pertanto più rilevante al Sud rispetto al Nord dove la struttura produttiva è consolidata. Ha tra i 36 e i 51 anni; è maschio e diplomato. Il più delle volte, è una scommessa su sé stessi, l’occasione per realizzare un sogno nel cassetto, prima ancora che una via d’uscita dalla difficoltà a trovare un lavoro stabile da dipendente. Questo il profilo del neo-imprenditore, tracciato dall’indagine statistica realizzata, l’estate scorsa, in collaborazione con Unioncamere sugli archivi delle Camere di commercio che ha coinvolto i titolari di aziende alla loro prima esperienza, che avessero aperto i battenti tra il 1° gennaio e il 30 giugno dell’anno in corso. Al 30 giugno scorso, una su quattro delle ‘matricole’ del 2011 ha meno di trenta anni, una percentuale di giovani significativa in linea con il dato per il totale delle imprese. Ma la fascia con il maggior peso percentuale è risultata essere quella tra i 36-51 anni in cui si è arrivati a toccare addirittura la metà di tutti i neo-imprenditori. Se per 1 su 3 sono bastati meno di 10mila euro per lanciarsi sul mercato, per 1 su 4 non ne sono stati sufficienti 30mila, una percentuale decisamente superiore se rapportata al totale delle imprese dove solo 1 su 10 ha impegnato una cifra simile. Come nel resto dell'economia, anche nel fuori casa si è osservata nel corso degli anni un aumento generale del livello medio di istruzione: la grande maggioranza dei neo imprenditori del fuori casa ha un titolo di studio elevato ovvero un diploma di scuola superiore anche se, considerando il numero dei laureati, la differenza tra livello di istruzione nel campo degli alloggi e ristorazione, gli altri servizi alle imprese (27%) e in generale rispetto a tutti i settori economici è ancora significativa. Solo le costruzioni presentano un numero di laureati inferiori con il 5%. Uno su 3 non va oltre la scuola dell’obbligo.
Roberto Susanna Nato a Roma il 19 settembre 1971. Nel 1996 ha conseguito la Laurea in Scienze statistiche demografiche ed attuariali, all’Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente è funzionario presso la Direzione Comunicazione e Relazioni Istituzionali di InfoCamere, la società di informatica delle Camere di Commercio italiane, per cui cura da anni rapporti con organi istituzionali e con interlocutori privati.
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