Non sono un filosofo, non sono un politologo e nemmeno vorrei esserlo.
Mi permetto però di partire da una considerazione generale per andare a dire qualcosa di... ovviamente particolare.
Ogni società legge se stessa attraverso vari segnali legati alla sua evoluzione storico-ambientale. E anche il mondo della ristorazione fa parte della società, ne è un'espressione.
Come spesso è accaduto negli ultimi tempi all'interno di varie questioni anche per alcune misure prese in relazione al mondo della grande ristorazione la stampa internazionale e le massime autorità di questo campo hanno preso una posizione duramente contraria verso il bel paese. Ognuno vada a cercare quello che vuole all'interno delle mie parole in termini di esempi e posizioni. Potrei fermarmi qui. Ma preferisco andare avanti e spiegarmi meglio.
Come apparso in un articolo che ho recentemente letto, il governo ha (per l'ennesima volta) bloccato l'utilizzo degli additivi chimici per la preparazione di bevande e pietanze. La reazione al provvedimento da parte della comunità internazionale è stata chiara: un provvedimento ascientifico e irrazionale, una inutile crociata a favore della tradizione.
Su questo mi sento di dire che sono d'accordo nella sostanza ma non nella forma. Dico questo perchè a mio avviso molto meglio hanno spiegato come occorre muoversi in questo settore personalità del mondo della grande ristorazione italiana quali Giovanni Ballarini, pres. dell’Accademia italiana della cucina, Roberto Burdese, pres. di Slow food Italia, e Albino Ganapini, presidente della Scuola internazionale di cucina italiana Alma nel corso di un'intervista rilasciata durante una cena organizzata dallo chef Massimo Bottura, tra i massimi esponenti della cucina creativa e primo italiano nella classifica dei World’s 50 best restaurants per far assaggiare i suoi piatti simbolo e discutere sul loro legame con la qualità, riuscendo a mettere tutti d’accordo nel segno del buono e del bello (come dire, etica ed estetica). Ho nominato Bottura come avrei potuto nominare il mio carissimo amico Dario Comini (basta la parola...).
Il succo per me è comunque il seguente: una tradizione è una innovazione ben riuscita e radicata nel pensiero comune. Non esiste un chiudersi nella tradizione. L'innovazione se buona sarà la tradizione di domani. La "cucina di ricerca" prova e si confronta con il mercato e se incontra la preferenza del consumatore o sa adeguare i piatti al gusto, alla disponibilità di prodotti e delle nuove tecnologie permea il comune pensiero, raccoglie consenso e diventa patrimonio comune. E ogni generazione cerca (o dovrebbe cercare) di migliorare quelle che la seguono trasmettendo questo patrimonio. Sottovuoto, abbattitori di temperatura e altre innovazioni oggi di uso comune furono accolti 20 anni fa con scetticismo e ora sono strumenti che hanno aperto scenari e opportunità ormai consolidate ed estremamente valide. Non credo sia giusto proibire. e' giusto regolamentare, monitorare.
Questo purtroppo in Italia non lo sappiamo fare. Soprattutto se la classe dirigente vede in queste cose non un'opportunità ma qualcosa che può ledere i propri interessi direttamente o indirettamente.