| In the kitchen

Earthquake, solidarity also comes through food

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17/07/2012 - Editoriale di Carlo Petrini, da La Rpubblicadel 16 luglio


Ricordo che quando ci fu l’alluvione del ’94 nelle Langhe, che fece danni ingenti e si portò via anche vite umane, uno dei primi segnali del ritorno alla normalità si ebbe quando ricominciarono ad aprire i bar, le osterie e altri luoghi di socializzazione. Non tanto perché delle attività commerciali ricominciavano a lavorare, ma piuttosto perché le persone avevano posti in cui incontrarsi, per cui uscire. La stessa sensazione, anche se il ricordo del terremoto è troppo fresco e presente concretamente, l’ho avuta a Bomporto presso La Lanterna di Diogene, un’osteria modello (con orto e acetaia) che impiega alcuni ragazzi portatori di handicap, danneggiata dal sisma ma che circa una settimana fa mi ha invitato a una serata che voleva anche essere un modo per annunciare al mondo che si riparte. La stessa cosa me l’hanno raccontata quelli che erano presenti all’osteria Entrà di Massa Finalese nei pressi di Finale Emilia. L’oste Antonio Previdi, insieme alla sorella cuoca e proprio con l’aiuto di Giovanni della Lanterna di Diogene, ha riaperto ufficialmente le danze. Una cena semplice ma ottima, con prodotti della zona e consumata all’aperto nel cortile che ora è la “sala” del ristorante, portata fuori da una cucina appena messa in sicurezza. Va detto che Antonio e famiglia continuano a dormire in tenda, la casa sopra l’osteria si è crepata in modo importante in più punti, nella camera da letto il pesante cassettone di legno massiccio è ancora lontano dieci centimetri dal muro, esattamente quanto si è spostato quella sera del 20 maggio. In casa i Previdi non ci sono praticamente più entrati, tra pezzi di intonaco e qualche calcinaccio per terra ci sono ancora le scarpe, alcuni giochi della bambina. Fa ancora paura. Loro hanno prima messo a posto la cucina dell’osteria, al piano terra, per ripartire anche forti della solidarietà di clienti affezionati, amici osti e produttori. Antonio tradisce commozione mentre racconta la sorpresa di osti non distanti che, saputo della sua cantinetta andata in rovina, con tutte le bottiglie rotte, hanno iniziato a donargli bottiglie; gente che di solito si fa concorrenza si è stretta insieme perché consapevole che è prima di tutto in questi locali che si riconquista una parvenza di normalità, si ricrea una rete sociale forte e attiva. Alcuni produttori sono arrivati con i loro salumi e i loro formaggi. L’aria non è per niente strana mentre queste osterie riaprono in mezzo a mille problemi, si riesce a anche a sorridere mentre si sta insieme. Non è che non si pensi al terremoto e alle numerose cose da fare, ma mettere impegno e la passione nel proprio lavoro per queste persone significa tanto: non sentirsi soli, non sentirsi isolati, sentirsi pronti al ritorno alla vita di prima, per quanto possa essere difficile. La stessa cosa vale per gli altri centri di aggregazione sociale.


E mentre si è lì si parla dei produttori e degli agricoltori amici, dei fornitori che hanno avuto danni, di chi ha perso quasi tutto. Si capisce che i tempi della solidarietà devono per forza essere quelli giusti, una volta passato l’afflato di generosità iniziale che è stato giustamente spinto dalla copertura mediatica. Ora che di queste zone se ne parla un po’ meno, «se non nei compleanni» come dicono loro commentando le notizie uscite a un mese esatto dal secondo terremoto, sta arrivando il momento di dare aiuti molto concreti. Può essere anche solo sufficiente tornare nelle osterie, andarli a trovare da tutta Italia per far sentire una presenza fisica, una vicinanza e un locale pieno che a volte fanno meglio di un euro donato con il cellulare, e poi programmare quello che servirà, per tempo. Già, perché parlando di agricoltura, essa ha le sue stagioni e presto ci sarà bisogno di una rete nazionale che si attivi per un’operazione che potrebbe diventare esemplare. Mi riferisco alle pere: le zone colpite dal sisma ne sono grandissime produttrici. Un’agricoltura diventata quasi monoculturale: ci sono ancora angurie e meloni di straordinaria qualità in zona, ma per esempio le pesche, una volta rinomate, non ci sono quasi più. Le pere si devono di solito raccogliere tutte insieme, da metà agosto, un po’ prima che maturino completamente per poi stiparle in magazzini refrigerati che le mantengono per lungo tempo, per venderle a più mandate alla grande distribuzione e “allungare” la stagione di vendita. È il sistema agroindustriale, che sopperisce alla mancanza di varietà tradizionali precoci e tardive (queste sì che allungavano le stagioni), con un sistema più “tecnologico”. Il problema è che questi magazzini (come in un primo tempo anche le pompe per le massicce irrigazioni, ora riparate) sono stati pesantemente danneggiati dal sisma e non si recupereranno in tempo. Sappiamo bene che i capannoni non han tenuto (e adesso che saranno ricostruiti, oltre a rispettare i canoni antisismici cerchiamo di non creare altre ferite al paesaggio con ignobili costruzioni).


Ora, mentre si avvicina il momento della raccolta, chi coltiva le pere non sa come fare. Altri magazzini in altre regioni non saranno più liberi come ora, perché lì s’inizieranno ad accogliere le mele, si rischia dunque di dover far marcire i frutti sugli alberi. Allora, proprio mentre ero a Bomporto, si è pensato con il vicesindaco di San Felice sul Panaro, con il sindaco di Finale Emilia e con tutti i protagonisti della rete locale di Slow Food, di preparare per tempo un piano per salvare il salvabile. Cogliamo l’infausta occasione per tornare a un consumo più precisamente stagionale delle pere. Selezioniamo quei produttori che possiamo aiutare, costruiamo una rete di acquirenti (grandi distributori, gruppi di acquisto solidale, mense scolastiche e ospedaliere, ristoranti, mercati, viaggi nelle aziende per la vendita diretta) che s’impegneranno a comprare “en primeur” - in anticipo - queste pere, in cambio che vengano raccolte mature e nel loro momento migliore. Gli agricoltori non dovranno preoccuparsi se le pere sono sugli alberi e non andranno nei magazzini come di solito. Perché saranno già vendute, appena pronte ritirate o inviate a chi ha fatto la sua promessa. Crediamo di riuscire a mobilitare una rete abbastanza grande (sicuramente non sufficiente per tutti, ma abbastanza grande), e speriamo che metta almeno una pezza a un settore che è già qualche anno che era in difficoltà per la crisi del sistema agro-industriale del cibo. Un sistema che in caso di eventi naturali catastrofici mostra tutta la sua estrema fragilità e capacità di generalizzare il danno. Forse tornando a un modo di distribuire diverso, a rapporti umani invece che puramente commerciali, a un rispetto della vera stagionalità e quindi anche dei ritmi naturali, si potrà instillare quella che magari è una piccola goccia di solidarietà concreta, ma anche un modo di riflettere su come produciamo e consumiamo il nostro cibo. Tenetevi pronti, faremo sapere dove e come richiedere le pere, e poi per la settimana che si raccoglieranno belle mature dovrete correre tutti a comprarle, mangiarle, cucinarle. Siamo sicuri che anche così si ricrea socialità, si fa pace con la Natura e con i nostri territori: bastava guardare gli occhi di Antonio e di sua moglie, o di Giovanni e dei suoi ragazzi mentre lavoravano di nuovo per capire che ce la faremo, che ce la faranno.