Quando sorseggiamo un cocktail, degustiamo un vino o alziamo una flûte di champagne, non ce lo ricordiamo mai, ma spesso stiamo facendo anche una citazione letteraria.
Sono centinaia gli scrittori famosi che hanno dedicato ai drink qualche riga di un loro capolavoro, cimentandosi nella descrizione di un cocktail, vino o liquore. Languide vamp, malinconici e solitari detective, brillanti agenti segreti, poliziotti come segugi, nevrotiche femme fatales, sono alcuni tra i soggetti preferiti dai romanzieri e che vengono ricordati proprio anche per ciò che bevono nei romanzi.
Spesso gli scrittori fanno bere ai loro personaggi i drink che loro stessi amano, è un modo per portare un po’ di se nel romanzo, senza eccedere nell’autobiografia. A Ian Fleming il Martini Vodka piaceva nella variante che comprende anche il London Dry Gin, e così lo fa preferire al suo famoso agente segreto 007, James Bond, e la celebre frase “Shaken not Stirred – shakerato non mescolato”, probabilmente è proprio una frase dell’autore.
Georges Simenon fa mangiare e bere al suo celeberrimo commissario Maigret tutto ciò che piaceva a lui, e quando il commissario si attarda con un liquore di prugnole dell’Alsazia, uno speciale Calvados, o più semplicemente un liquore fatto in casa da qualche anziana signora, non fa altro che raccontare i piaceri del suo grande autore.
I gusti nel bere entrano nella stesura di famosi romanzi, in alcuni casi diventano perfino note biografiche dei protagonisti. Così ricordiamo Philip Marlowe per il cocktail Gimlet, Nero Wolfe per le sue birre Tuborg, di cui ne beve cinque ogni giorno rigorosamente fuori pasto.
Lo scrittore “alcolico” per eccellenza, quello che resta famoso nell’immaginario di tutti noi per le sbronze sue e dei suoi personaggi, è senza dubbio Ernest Hemingway, tuttavia quello che per primo si dedicò a raccontare la vita frivola e “alticcia” della nascente borghesia americana degli anni ‘20 fu Francis Scott Fitzgerald con i suoi immortali capolavori: Tenera è la notte, Belli e dannati, il grande Gatsby. Se Fitzgerald trattò i cocktail come gli insostituibili gioiosi compagni di tante serate e feste, fu invece Tennessee Williams soprattutto con La gatta sul tetto che scotta, a ricordarci che gli eccessi alcolici creano dipendenza e depressione e lui, che morì alcolizzato, ben lo sapeva.
Insomma, il legame tra letteratura e drink è molto stretto, ci sono scrittori che amano fermare una pagina del proprio racconto nella descrizione di un volto, di uno sguardo o l’abbigliamento del protagonista, altri scelgono dettagli diversi per rappresentare il carattere di un personaggio: la ricetta di un piatto o la descrizione di un drink.
I puristi della letteratura più colta spesso considerano i giallisti scrittori di serie B, tuttavia mi piace chiudere questa piccola riflessione con una frase tratta da Il lungo addio di Raymond Chandler che in poche righe riesce a raccontare un luogo, un’atmosfera, una professione e il carattere del personaggio.
“Mi piace guardare il barman mescolare il primo drink della serata e posarlo davanti a me con un tovagliolo piegato accanto. Mi piace gustarlo lentamente, mentre il bar è tranquillo. È meraviglioso”.
Non male per essere uno scrittore di serie B.