28/01/2013 - Dai ceci di Cicerale ai fagioli di Sorana, passando per la cicerchia di Serra de' Conti.
D’inverno, soprattutto per chi mangia locale e stagionale, il mercato ha meno da offrire rispetto ad altri periodi generosi. Sarebbe buona prassi sfruttare tutto ciò che è disponibile, riscoprendo prodotti un po’ emarginati e scatenando la creatività e le proprie competenze in cucina. Ma non è da disdegnare il riprendere pratiche legate a un mondo contadino che non poteva contare sugli attuali trasporti intercontinentali per le merci più svariate. Spesso si mangiava ciò che si metteva da parte in periodi di abbondanza, come i legumi secchi, ottima fonte di proteine e altri preziosi elementi nutrizionali a basso prezzo. Sono prodotti che abbiamo sempre più messo da parte, dimenticandoli, associandoli troppo a diete ritenute povere, per infine sostituirli con la più “ricca” carne. Eppure sono indispensabili per una dieta bilanciata, possono sostituire la carne e oltretutto la loro produzione è molto più sostenibile rispetto a tutte le fonti di proteine animali: sono un gran modo per far del bene a se stessi, all’ambiente e anche al portafogli.
 La cosa più divertente è che in Italia possiamo scegliere tra una biodiversità che ci offre di tutto: fagioli d’ogni foggia, ceci, fave e anche cose più curiose come la cicerchia. Essendo per l’appunto andati un po’ fuori moda nei nostri usi si è anche corso il rischio di perdere buona parte di questo patrimonio. Infatti, spulciando tra i vari Presìdi Slow Food italiani ci accorgiamo di quanta ricchezza esista ancora e necessiti di essere salvaguardata soprattutto mettendola in tavola. Nel sito si trovano i contatti dei produttori. Per cui questa settimana invece di andare al mercato magari facciamo anche la spesa per corrispondenza: abbiamo il cece di Cicerale, il fagiolo dente morto di Acerra e il fagiolo di Controne in Campania; i fagioli di Badalucco, Conio e Pigna in Liguria; la cicerchia di Serra de’ Conti nelle Marche; la piattella canavesana in Piemonte; il cece nero della Murgia Carsica e la fava di Carpino in Puglia; il fagiolo rosso di Lucca e quello di Sorana in Toscana. Poi c’è la Sicilia con i fagioli badda di Polizzi e cosaruciaru di Scicli; il Veneto con il fagiolo già let della Val Belluna e l’Umbria con la fava cottora dell’Amerino, la fagiolina del lago Trasimeno e la roveja di Civita di Cascia. Un tripudio, tra colori, dimensioni, forme e gusti diversi.
Carlo Bogliotti, dalla rubrica Sabato al Mercato, La Stampa
Foto: Giuseppe Fassino