Roma, 20 ottobre 2014 - Grande successo di pubblico e apprezzamento tra gli operatori ha riscosso il Ron de Venezuela, la prima denominazione di origine del noto distillato caraibico per importanza produttiva a livello mondiale, presentata allo ShowRum di Roma, il 17 e 18 ottobre scorso.
Nel Paese che, insieme alla Francia, si divide il primato mondiale di produzioni a doc e dove il concetto di denominazione di origine è ormai fondamento della cultura del consumatore, era facilmente prevedibile il riscontro positivo di interesse e curiosità che avrebbe suscitato la proposta di un consorzio di produttori di Rum che decide di regolare, e tutelare, la propria produzione con un rigoroso disciplinare produttivo.
E, infatti, i numerosi bartender, sommeliers e giornalisti intervenuti hanno potuto conoscere le diverse produzioni dei grandi brand aderenti al Consorzio (Cacique, Diplomático, Ocumare, Pampero, Ron Roble Viejo, Santa Teresa e Veroes) sia in degustazioni comparate che nelle preparazioni “miscelate” proposte da due famosi barman venezuelani: JhonnatanMejias e Maria StephanyAndrade.
Ma i segreti della nuova stagione a “denominazione di origine” di un distillato, segnato, in passato, da una storia produttiva disordinata, sono stati raccontati dell’Ambasciatore del rum Venezuelano HabibRabbat che, illustrando le regole fondamentali sancite dal disciplinare di produzione della Doc, ha esaltato alcuni dei segreti dell'antica unione tra il Venezuela e il rum stesso, attraverso le storie dei famosi Master Roneros, vere e proprie “star” della cultura argentina, padri nobili del fascino della rinomata Acquavite di Canna.
Il sole, l’uomo e la canna da zucchero: i tre elementi raffigurati iconicamente nel simbolo della Doc del rum argentino (riconosciuta nel 2003) sintetizzano efficacemente le condizioni caratterizzanti la produzione di questi rum cioè, il terroir, la sapienza dell’uomo e la materia prima (rigorosamente a km0). Sono tutti elementi che ritroviamo nel disciplinare produttivo, dove si stabilisce per le produzioni a DO, l’utilizzo di melassa di esclusiva provenienza nazionale (cioè non importata), l’invecchiamento minimo di 2 anni del distillato e solo in botti costruite con doghe di Rovere Bianco, ed una gradazione minima di 40° di alcol.
Regole semplici che, però, per la prima volta nella storia del distillato caraibico stabiliscono paletti in una realtà nata e cresciuta senza alcuna regola se non la richiesta dl mercato. Regole tanto più importanti perché cercano di valorizzare la storia e la cultura nazionale di un prodotto comunque rinomato, aprendo la strada verso la ricerca di una autenticità e una identità produttiva che nel festival di Roma ha ottenuto importanti riconoscimenti.
Riconoscimenti preziosi per i produttori – che con Roma hanno concluso il tour europeo di presentazione della Doc – perché esaltano una storia nata quando i conquistatori spagnoli portarono la canna da zucchero nel Paese e cominciarono a utilizzarla per fare una bevanda dolce che fiorì nei primi anni del XVIII secolo. Inaugurando una tradizione produttiva radicatasi nella cultura venezuelana quando la colonia spagnola proibì la sua produzione per proteggere il consumo dei vini della penisola, divieto che, però, ottenne l’effetto contrario gettando le basi di un consumo che, ormai, è già parte della storia del Venezuela.